Romanzi, canzoni e nevicate del ’56: parla Carla Vistarini

photo by Simone Casetta

Carla Vistarini ha lasciato il segno in ognuna delle strade che il suo irreprimibile eclettismo le ha aperto: ha scritto canzoni per Mina, Ornella Vanoni, Patty Pravo, Renato Zero e Mia Martini (sua la bellissima “Nevicata del ‘56”). Ha firmato i testi di varietà, fiction e spettacoli televisivi, dai festival di Sanremo a sei edizioni di “Pavarotti and friends”, forte di una propensione quasi genetica per il mondo dello spettacolo: è sorella infatti di Patrizia Vistarini, che tutti conosciamo come Mita Medici. Come sceneggiatrice ha vinto il David di Donatello, insieme a Luigi Magni, per “Nemici d’infanzia”. Ora la sua passione è il giallo. Autrice l’anno scorso di “Città sporca” (ed. Gems), primo capitolo delle avventure dell’ispettore Curreri, oggi pubblica “Se ho paura prendimi per mano” (ed. Corbaccio, pp. 237, euro 14,90).
Nella sua carriera così eclettica, che posto assegna a questo romanzo?
Un posto importantissimo. Per me è un vero traguardo: fino all’anno scorso non ho mai avuto, materialmente, il tempo di mettermi a scrivere un romanzo. Il romanzo richiede calma, quiete, una sorta di solitudine che consenta la concentrazione. La mia vita precedente al romanzo, dal punto di vista professionale, è stata tumultuosa. La televisione, la discografia, la musica sono fatte di numerosi impegni: ad esempio tutte le sedute di studio per registrare le canzoni, ma anche le prove dei programmi televisivi, sono cose che prendono tantissimo tempo. Un’ora di programma televisivo richiede il lavoro di settimane. Sono tutte cose che monopolizzano l’attenzione e la concentrazione. E quindi la vita. Così, ottenute le soddisfazioni che mi premevano negli altri campi, ho deciso di dedicare del tempo a questa cosa che avrei voluto fare già da prima, ma che non ho mai potuto portare avanti.
Com’è nato “Se ho paura prendimi per mano”?
Lo spunto iniziale è una rapina ad un piccolo supermercato nel mio quartiere. Era finito tutto poco prima che io arrivassi, c’era ancora un discreto movimento e ho toccato con mano le vivissime emozioni dei presenti… Non c’è stato un esito drammatico come invece succede nella rapina con cui inizia “Se ho paura prendimi per mano”, ma la cosa mi colpì molto e mi fece riflettere sul fatto che le persone, cercando di arrangiarsi, possono spingersi a conseguenze estreme. Per questo nel romanzo è molto visibile il tema dell’emarginazione: il protagonista, lo Smilzo, è un clochard che si ritrova a proteggere una bambina da qualcuno che sembra intenzionato a rapirla uccidendo tutti quelli che si mettono in mezzo.
Lei come lavora alle trame gialle?
Visualizzo mentalmente la scena iniziale, e so già in quel momento dove andrò a parare nel finale del romanzo. Tutto quello che succede in mezzo, invece, può cambiare man mano che scrivo, ma sempre in funzione del finale che ho ideato in principio. E’ bello lavorare così, perché durante la scrittura ci si può un po’ abbandonare a quello che succede, proprio come nella vita. La narrazione, per sorprendere il lettore, deve sorprendere anche sé stessa e quindi sorprendere in primo luogo il narratore.
Che importanza dà allo humour come risorsa narrativa?
E’ una cosa che mi viene naturale, per la mia personalità: dovrei forzarmi per non mettere situazioni e battute divertenti in quello che scrivo. E poi è importante per chi legge. Pensiamo all’estetica di Tarantino: le sue storie sono sempre molto violente, ma il tutto è filtrato e mediato dall’umorismo e dal grottesco. In particolare a me piace usare la comicità per far capire delle cose trascendendo il realismo: ad esempio il personaggio del libro che i lettori mi dicono di trovare più divertente è un anziano professore che intrattiene vivaci conversazioni con il suo cane, ma la cosa è sempre descritta in modo da lasciare il dubbio al lettore che questi dialoghi impossibili possano avvenire davvero. Caratterizzare il professore descrivendolo in modo piano e didascalico come un signore un po’ rimbambito sarebbe stato più aderente alla realtà, forse, ma molto meno originale e quindi, alla fine, meno rispettoso dell’intelligenza del lettore e della sua capacità di capire il non detto.
Da buon giallo, anche “Se ho paura prendimi per mano” ha un investigatore. Che è il commissario Tano Curreri. Come mai questa omonimia con il musicista leader degli “Stadio”?
E’ stata una cosa subliminale. Io conosco Curreri, così come conosco moltissimi cantanti e musicisti per via della mia attività di autrice di testi e il mio impegno in Siae. Però non ci ho pensato in quel momento! Me ne sono resa conto solo dopo, quando me lo hanno fatto notare. Il vero Curreri, comunque, si è detto contento di questo mio omaggio involontario.
Cosa l’affascina del genere giallo?
Uso gli stilemi del giallo e del noir perché li trovo fenomenali per agganciare il lettore e poi raccontargli storie che, a quel punto, possano anche esulare dal canone della narrativa di suspence. In particolare, un tema che mi sta a cuore e che ho affrontato più volte – sia in canzoni come “S.O.S. verso il blu”, scritta per Mia Martini, che in questo romanzo – è il tema della solitudine di ogni essere umano.
Gli autori delle canzoni e gli sceneggiatori del cinema, tranne rare eccezioni, passano un po’ inosservati al grande pubblico. Quando lei è in una sala d’attesa e sente diffondersi le note di una canzone che ha scritto, prova l’impulso di ricordare ai presenti che lei è l’autrice di quella canzone?
Per come la vedo io, una volta che una canzone è diventata pubblica, avviene una specie di scissione con l’autore, per cui la cosa diventa del pubblico. Quindi, se capitasse quello che lei dice, ascolterei la canzone proprio come gli altri. Poi è chiaro che avrei dei ricordi bellissimi legati a quella canzone, ma per me ormai sarebbe come un figlio che diventa adulto e si fa la propria strada nel mondo. Certo, gli sceneggiatori, gli autori delle canzoni sono spesso ignorati dal grande pubblico, tranne qualche autore che per personalità o rilevanza si impone all’attenzione dei media, penso ad esempio a Mogol. Ma per noi autori va benissimo anche non esistere come “personaggi”, visto che poi tutti noi, alla fin fine, amiamo la privacy. Quello che può dispiacerci, però, è il fatto che solo gli esperti e i cultori sappiano abbinare il titolo di una canzone a chi l’ha scritta. Con il romanzo, per fortuna, è molto diverso.

(Repubblica Sera – G. Aluffi)