Il 16 maggio 1945, in mezzo alle montagne della Nuova Guinea, due mondi si incontrarono, e millenni di differenza tra civiltà lontane e incomprensibili l’una all’altra svanirono in pochi minuti.
A ricostruire quella storia straordinaria tramite documenti d’archivio e interviste è oggi Mitchell Zuckoff, docente di giornalismo alla Boston University, nel libro Lost in Shangri-La (ed. HarperCollins, pp. 384, euro 19,85. Best book of 2011 secondo Amazon USA). In quei giorni la Nuova Guinea era, per l’esercito statunitense impegnato contro i giapponesi, terra di mistero: coste dense di giungle e paludi, e all’interno montagne difese da spuntoni rocciosi e coperte da foreste pluviali impenetrabili. Assente dalle mappe, soprattutto, era una larga valle a 150 chilometri a sud-ovest della base militare di Hollandia (Nuova Guinea Olandese, oggi è l’indonesiana Jayapura). Di un verde lussureggiante, la valle era abitata da uomini fermi all’età della pietra. «Quel mondo non era stato dimenticato dal tempo: il tempo non si era nemmeno accorto che quel mondo esistesse» commenta Zuckoff.
Le prime ricognizioni aeree rivelarono capanne e recinti, e l’impossibilità di atterrare per mancanza di spazi adatti fece nascere leggende sui nativi: c’era chi giurava fossero colossi alti due metri. I corrispondenti di guerra paragonarono la valle nascosta a Shangri-La, luogo segreto sull’Himalaya abitato da saggi longevi e felici descritto nel romanzo “Orizzonte perduto” di James Hilton (e nel film di Frank Capra).
Ed è durante uno dei voli sulla nuova “Shangri-La” che, il 13 maggio 1945, il maggiore George Nicholson sbaglia rotta e si ritrova davanti una montagna alta 3.000 metri. Troppo tardi per riguadagnare quota: l’aereoplano impatta con gli alberi e si sfascia al suolo.
Il corpo di una delle vittime: il maggiore Goods
Solo tre dei 24 occupanti si salvano: Margaret Hastings, John McCollom e Kenneth Decker. Il 16 maggio gli aerei che li stavano cercando li individuano in una piccola radura.
Margaret Hastings dopo l’atterraggio di fortuna
Ma non sono i soli a scorgerli: invisibile tra gli alberi, un gruppo di indigeni li osserva. «E poco dopo la giungla si anima. Decine di uomini dalla carnagione scura e dai corpi lucidi di grasso di maiale, armati di asce, spuntano dalla boscaglia» racconta Zuckoff.
«Gli indigeni avevano addomesticato il fuoco, ma non conoscevano ancora la ruota. Sapevano contare fino a tre e indicavano tutto ciò che superava il tre con la parola “molti”. Credevano che la luna fosse un uomo, e il sole sua moglie. Per onorare i loro defunti, mozzavano le falangi alle ragazze e mangiavano le mani dei nemici uccisi».
Nella valle di Baliem, vero nome di “Shangri-La”, erano oltre 60.000. Le tribù principali, gli Yali e i Dani, definivano le loro identità combattendo: “Se non c’è la guerra, moriremo” solevano ripetere. Una leggenda Dani, chiamata Uluayek, raccontava di spiriti che vivevano nel cielo sopra la valle e usavano una liana magica per scendere sulla terra. Avevano pelle chiara, braccia pelose che tenevano coperte, e rubavano maiali agli uomini, tanto che questi avevano tagliato la liana. Ma gli spiriti l’avrebbero rimpiazzata per ridiscendere nel giorno del giudizio. «E i tre americani apparsi dal nulla sembravano proprio quegli spiriti leggendari» spiega Zuckoff «Non somigliavano a nessun uomo che gli Yali avessero mai visto: stranamente bianchi in volto, avevano una bizzarra “pelle” verdastra e curiosi piedi senza dita (i nativi non conoscevano i vestiti né le scarpe)». Gli Yali potevano accoglierli, o ucciderli per scongiurare l’apocalisse. Gli americani non avevano armi: la loro unica chance era mostrarsi amichevoli. Così tesero le mani piene dell’unico cibo rimastogli: le caramelle dell’esercito. Un uomo anziano, all’apparenza il capo, si avviò verso di loro. McCollom prese la mano del nativo e la strinse con gesto teatrale («Come un politico, o un venditore di auto usate» aggiunge divertito Zuckoff) dicendo in inglese: “Come sta? Lieto di incontrarla”, poi indicò i suoi due compagni di sventura – che sorridevano a denti stretti – presentandoli. “Ecco il caporale Hastings e il sergente Decker”. Il capo Yali rispose con monosillabi che esprimevano interesse, e alitò sulle ferite dei militari – gesto che era un augurio di salute.
Nei giorni successivi nacque una guardinga amicizia tra americani e Yali. «Con qualche equivoco: ad esempio gli Yali credevano che Margaret Hastings non vedesse l’ora di celebrare i morti dell’aereo facendosi tagliare qualche falange, come da loro tradizione. Lei ringraziò per il pensiero, ma rifiutò decisa» puntualizza Zuckoff.
E i soccorsi, nel frattempo? «Il 20 maggio, 9 paracadutisti comandati dal capitano Earl Walter si lanciarono da un C-47 nella parte nord-ovest della valle, terra della tribù dei Dani. Ai soldati era stato detto che le tribù della Nuova Guinea consideravano segno d’amicizia agitare delle foglie sopra la testa. “Vidi i nativi e sventolai come un ossesso, per ore, quelle maledette foglie, ma non successe nulla” mi raccontò Earl Walter».
Il capitano Walter
Poi però i Dani accerchiarono i militari, e li stupirono col loro comportamento: «Sembrava non potessero fare a meno di toccarli e di abbracciarli» racconta Zuckoff «Tanto che Walter credette che li avessero scambiati per donne. Esasperato da quelle strane attenzioni, optò per una tattica non prevista dai manuali dell’esercito: per chiarire ai nativi che era un uomo si spogliò, e comandò ai suoi uomini di fare altrettanto». Grande fu il turbamento tra i guerrieri Dani. «Volevano toccarli perché affascinati dai vestiti, strana “pelle staccabile”, che con loro sorpresa trovavano diversi al tatto rispetto al fango che si spalmavano addosso per andare in battaglia. Ma l’improvviso denudamento dei militari li aveva scioccati: fin da bambini, i maschi Dani coprivano il proprio sesso con un succinto astuccio di legno, che portavano anche di notte.
Un uomo completamente nudo, per loro, era fonte di forte imbarazzo e vergogna: quello offerto degli americani era stato insomma uno spettacolo disdicevole» spiega Zuckoff. Nonostante le reciproche incomprensioni, i Dani garantirono ai paracadutisti passaggio sicuro nei loro territori, emanando una maga, una dichiarazione, che diceva: “Non uccideteli. Questi sono spiriti”.
Il 25 maggio i tre sopravvissuti e la squadra di Walter si incontrano. Dopo un altro mese di convivenza pacifica con le tribù, il 28 giugno gli americani vengono recuperati con un piano ardito che prevede l’atterraggio di un aliante e il recupero dell’aliante stesso, carico dei superstiti, ad opera di un aereo che avrebbe dovuto agganciare l’aliante con un cavo di nylon.
L’operazione avventurosa riuscì, e le due civiltà si ridivisero dopo aver imparato a stare insieme bruciando i millenni.
Cosa rimane oggi di “Shangri-La”? «Nel centro della valle c’è una città-villaggio chiamata Wamena, con negozietti e un modesto hotel» spiega Zuckoff
Tornata in patria, la Hastings illustra i luoghi dell’avventura
«Fuori da Wamena, la valle è ancora tutta verde come l’avevano trovata gli americani» continua Zuckoff. «I locali vivono ancora in villaggi fatti con le stesse capanne di mezzo secolo fa. Ma non aspettano più gli spiriti dal cielo»
(© La Repubblica / Giuliano Aluffi)