Noi, i randagi del metrò di Mosca

Se vi trovate a Mosca persi nell’intrico delle dodici linee della metropolitana, i cartelli in cirillico vi paiono geroglifici e non spiccicate una parola di russo, provate a farvi guidare da un cane. Sono 35 mila i randagi della città, e cinquecento di loro hanno scelto la metropolitana come habitat. Tra questi, si sarebbe addirittura sviluppata una «super-razza»: una ventina di esemplari che, per la loro padronanza degli spostamenti in metropolitana e per la loro destrezza nel mendicare cibo ai passeggeri, spingono l’etologo Andrei Poyarkov a pensare che si tratti di un gruppo la cui intelligenza è di gran lunga superiore a quella degli altri… «Non c’è prova scientifica, ma è verosimile che questi cani abbiano capito che la metropolitana è un mezzo di trasporto: li ho visti entrare nei vagoni come se sapessero perfettamente cosa fare, dove salire e dove scendere» conferma l’etologa russa Zhanna Reznikova. «Sembrano riconoscere le fermate grazie all’olfatto (per annusare l’aria, il momento in cui si aprono le porte è sufficiente), a segnali acustici, come gli annunci delle fermate, o al tempo trascorso a bordo. Però, le osservazioni fatte finora sono solo aneddotiche».
Luigi Boitani, docente di ecologia animale alla Sapienza di Roma, non si stupisce: «Il cane, dopo l’uomo, è l’animale più flessibile sulla Terra. A Mosca i randagi sono stati ammessi nella metropolitana e vi si sono adattati. Basta che un cane acceda una volta ai vagoni, si renda conto che così può trovare nuovi posti dove c’è cibo, e questa esperienza verrà assunta nel suo comportamento. I cani sperimentano. Poi, se un’azione funziona, la ripetono. E la trasmettono agli altri: il cane è un animale culturale, come l’uomo». In fondo è con la stessa trasmissione culturale che in Italia i lupi hanno imparato a convivere senza attriti con gli umani nei dintorni dei paesi. «In America pensano che il lupo sia l’animale dei posti selvaggi: noi ne abbiamo a Grottaferrata e a Maccarese, cioè negli immediati dintorni di Roma» conclude Boitani.
Con i lupi molti dei randagi di Mosca hanno in comune il manto uniforme e l’assenza di scodinzolio, restano però cani a tutti gli effetti, anche quando si muovono in branco, per la minore aggressività e per la naturale tendenza a offrirsi come guardiani volontari. Per questo in genere sono considerati amichevolmente dai passeggeri della metropolitana: a Malchik, il randagio della fermata Mendeleevskaya che nel 2001 venne ucciso da una squilibrata, gli amici pendolari hanno addirittura dedicato una statua. Ma davvero i cani di Mosca sono tanto intelligenti? «In realtà» spiega l’etologa Alessia Ortolani, «tutti i cani sono capaci di memorizzare percorsi e crearsi mappe visive e olfattive. A Mosca, è probabile che alcuni cani siano entrati nella metropolitana per ripararsi e poi abbiano avuto esperienze positive, tali da trattenerli in quel luogo e diventare un’abitudine».
Il ruolo della routine è confermato anche dal biologo americano Raymond Coppinger: «L’uso consapevole della metropolitana non è nelle capacità cognitive dei cani. È più probabile che alcuni, presa confidenza con i vagoni quando ancora vivevano con un padrone, abbiano mantenuto questo comportamento anche da randagi. E che altri ci siano arrivati per imitazione». La tesi di Andrei Poyarkov sarebbe quindi troppo ardita? I randagi di Mosca non sarebbero davvero diventati, come lui sostiene, più intelligenti grazie alle ripetute interazioni tra animali dovute alla loro alta concentrazione in quell’area urbana? «I cani randagi possono in effetti colpirci più degli altri per la loro intelligenza, ma in fondo è solo perché hanno più occasioni nelle quali devono darsi da fare per sopravvivere» sottolinea l’etologa Eugenia Natoli. «Non è detto però che siano davvero più intelligenti. Di certo quelli catturati e poi tenuti in canile risultano al contrario meno abili a risolvere i problemi rispetto ai cani domestici, perché cresciuti in un ambiente meno ricco di stimoli. Con Emanuela Prato Previde, dell’Università di Milano, Paola Valsecchi, dell’Università di Parma, ed Emanuela Viggiano, della Sapienza di Roma, abbiamo messo i randagi da canile di fronte a problemi posti normalmente a cani di proprietà. Risultato: i randagi se la cavano come gli altri. Però i più bravi sono quelli che, nei canili, condividono lo spazio con altri cani».
Quindi davvero la socialità sembra rendere più abili, come sostiene Poyarkov. E la forza che spinge i cani a raggrupparsi è la perdita del legame col padrone. «Tra i randagi di Mosca, quelli che sono più a contatto con l’uomo non vivono in branco, ma da soli, sul territorio che hanno scelto, proprio come cani da guardia» spiega Peter Pongracz, etologo alla Eötvös Lorand University di Budapest. «Man mano che la relazione con gli uomini diventa meno stretta, i cani cominciano invece a formare organizzazioni sociali, un gruppo, attorno a risorse, come il cibo o una femmina». E, quando si è in gruppo, emergono comportamenti sofisticati, come ci ricorda Alan Beck, etologo della Purdue University, che già dal 1971 si occupa dei randagi urbani. «I cani di Mosca imparano che stando insieme agli altri trovano cibo più facilmente, corrono meno rischi, e così via. Il loro comportamento sociale assomiglia al meccanismo che scatta nelle nazioni sovrappopolate, come il Giappone, dove tanta cortesia e tolleranza servono anche a sopportare l’impatto della folla».  (© La Repubblica / Giuliano Aluffi   – foto di M. Murmur)