Buoni o cattivi? Contro le tentazioni serve l’allenamento

Siamo tutti potenzialmente disonesti. Per fortuna però, inibizioni e razionalità intervengono a mitigare la nostra naturale spinta a commettere piccole o grandi trasgressioni etiche. A sosternerlo è Dan Ariely, docente di psicologia ed economia comportamentale alla Duke University di Durham (North Carolina), autore del saggio The Honest Truth About Dishonesty, ovvero “l’onesta verità sulla disonestà” (Harper Collins). La disonestà, secondo Ariely, è pervasiva perché, traendo alimento da piccole cose, si ingrandisce a valanga.
“Se cominci a comportarti male, a un certo punto smetti di avere un buon concetto di te e ti lasci andare” sostiene lo scienziato. “Lo abbiamo verificato con un esperimento. Abbiamo dato degli occhiali da sole firmati a tre gruppi di studenti: al primo gruppo abbiamo detto che gli occhiali erano originali, al secondo gruppo che erano taroccati e al terzo gruppo non abbiamo detto nulla. Poi abbiamo dato loro dei test matematici, nei quali potevano auto valutarsi e ricevere premi in denaro: tutti i gruppi, in media, hanno detto di aver risolto più problemi di quanto avessero fatto in realtà, ma solo il 30 per cento di chi portava occhiali che credeva originali ha barato, contro il 40 per cento del gruppo senza informazioni e il 70 per cento del gruppo che credeva che gli occhiali fossero un’imitazione”. Per questo meccanismo Ariely ha coniato una definizione, lo chiama “Oh, al diavolo!”. Significa che una violazione morale tira l’altra, come le ciliegie. Già nel 2004 Ann Tenbrunsel della University of Notre Dame, in Indiana, aveva sostenuto che, quando un’azione immorale rappresenta una piccola deviazione dallo standard, e quindi è poco visibile la differenza tra comportamento etico e non etico, quest’azione tende a diventare il nuovo standard. Un consulente che gonfia la parcella per il cliente aggiungendo un’ora, tenderà a far diventare quella dell’ora in più una prassi. E magari in futuro addebiterà due ore in più, e poi tre: senza avvertire più di tanto la scorrettezza del comportamento.
Questo effetto delle piccole violazioni etiche incrementali è quello che, secondo Ariely, porta i dentisti americani a comportarsi in maniera scorretta (suggerendo rimedi costosi, quando ce ne sarebbero di più economici) soprattutto con i pazienti di lunga durata, verso i quali può essersi verificato uno slittamento progressivo dell’etica. L’effetto “Oh, al diavolo!”, però, potrebbe scattare anche come conseguenza di un eccesso di virtù: del resto, dopo una giornata nella quale ci siamo sforzati di rispettare il nostro corpo evitando zuccheri e carboidrati, è più probabile che, la sera, cediamo al richiamo di un fast-food. “Resistere alle tentazioni consuma energia mentale: la moralità è come un muscolo che, dopo uno sforzo sostenuto, ha bisogno di riposo” dice Ariely.
“Lo ha mostrato Baba Shiv, della californiana Stanford University: quando le nostre capacità cognitive sono impegnate, per esempio quando dobbiamo tenere a mente dei numeri, cediamo più facilmente alle tentazioni”. Invece i comportamenti egoistici sarebbero istintivi: di norma e per natura saremmo cioè dei Mister Hyde, che solo con sforzo diventano Dottor Jekyll. Lo confermerebbero anche le neuroscienze: Joshua Greene e Joseph Paxton, psicologi di Harvard, nel 2009 hanno trovato che quando diciamo la verità aumenta l’attività della corteccia prefrontale dorsolaterale (area del cervello che controlla il comportamento e, nelle decisioni economiche, tiene a bada gli impulsi egoistici).
Sempre rimanendo negli studi sul cervello, sembra che a facilitare comportamenti scorretti come le menzogne sia la quantità di materia bianca: i bugiardi patologici avrebbero fino al 26 per cento in più di materia bianca, il tessuto che coordina il lavoro delle diverse regioni cerebrali e che quindi facilita le associazioni mentali più ricche e imprevedibili che i bugiardi sanno escogitare. Ci sarebbe quindi un legame tra disonestà e immaginazione? Ariely ha cercato di rispondere a questa domanda chiedendo a un campione di dipendenti di agenzie pubblicitarie quanto fossero disposti a comportarsi slealmente (sottrarre materiale d’ufficio, gonfiare rimborsi spese, e così via): ha trovato una correlazione tra il livello di creatività richiesto nel lavoro svolto normalmente e la disponibilità a violare l’etica.
Quindi davvero i più creativi sarebbero più disonesti? “No, ma sono più bravi a costruirsi scuse e giustificazioni per salvare la faccia” spiega Ariely. Questo ridurrebbe le remore nel violare le regole. La cosa positiva è che, poiché appariamo così guidati soprattutto dal desiderio di salvaguardare la nostra immagine, anche piccoli accorgimenti possono prevenire la disonestà. Christopher Bryan e Benoit Monin, ancora della Stanford University, hanno sottoposto alcuni test a soggetti divisi in due gruppi, con la promessa di una ricompensa commisurata all’autovalutazione dei risultati. Per il primo gruppo la premessa al test è stata: “E ora non imbrogliate”. Per il secondo gruppo: “E ora non siate imbroglioni”.
L’uso del sostantivo ha fatto sì che nessun membro del secondo sei biglietti da un dollaro, in 72 ore le lattine spariscono mentre i dollari rimangono intatti. E gli impiegati hanno meno problemi a portarsi a casa oggetti che trovano in ufficio, piuttosto che soldi. Per rendere più difficile la vita al Mister Hyde che è in noi si può poi fare appello alla sua coscienza: Ariely ha trovato che chiedere di recitare un codice etico a soggetti a cui viene data, subito dopo, l’opportunità di barare, può far sì che si astengano del tutto dalle scorrettezze. Mentre i riti di purificazione (come la confessione dei cattolici) risultano efficaci nell’immediato ma non nel lungo periodo.
Danno infatti al “peccatore” l’idea che, qualunque atto abbia commesso, potrà sempre ripristinare la sua moralità. Diavolo di un Hyde. gruppo dichiarasse risultati migliori di quelli che aveva davvero ottenuto. Un altro deterrente, dice Ariely, è il valore morale attribuito al gesto: se gli studenti trovano nei frigoriferi del campus sei lattine di bibita e sei biglietti da un dollaro, in 72 ore le lattine spariscono mentre i dollari rimangono intatti. E gli impiegati hanno meno problemi a portarsi a casa oggetti che trovano in ufficio, piuttosto che soldi. Per rendere più difficile la vita al Mister Hyde che è in noi si può poi fare appello alla sua coscienza: Ariely ha trovato che chiedere di recitare un codice etico a soggetti a cui viene data, subito dopo, l’opportunità di barare, può far sì che si astengano del tutto dalle scorrettezze. Mentre i riti di purificazione (come la confessione dei cattolici) risultano efficaci nell’immediato ma non nel lungo periodo. Danno infatti al “peccatore” l’idea che, qualunque atto abbia commesso, potrà sempre ripristinare la sua moralità. Diavolo di un Hyde.     (© La Repubblica / Giuliano Aluffi)